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FUNKY TOMATO. I POMODORI BUONI, SENZA CAPORALI

L’esperienza di Funky Tomato si è conclusa nel 2021.

Se vuoi sostenere la filiera del pomodoro che rispetta l’ambiente e i diritti di chi lavora puoi acquistare la passata di pomodoro e altre bontà da alcune realtà nostre socie come:

Libera Terra
Sfrutta Zero
Arvaia
Pietra di Scarto
Oro del Sannio

 

Articolo dell’aprile 2018 a cura di Corrado Fontana, giornalista di Valori

Non tutti i pomodori sono uguali. Né la salsa o i trasformati del cosiddetto “oro rosso” che colora estesissimi appezzamenti di terra assolata del centro-sud Italia.

A dircelo sono le cronache dello sfruttamento dei lavoratori agricoli, perlopiù migranti, o l’ultimo rapporto dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che dopo 7.265 ispezioni nel 2017 ha accertato la presenza di ben 5.222 lavoratori irregolari, di cui 3.549 in nero.

Ma ci sono alcune esperienze virtuose di economia solidale. Una di queste è iniziata nel 2015, a Venosa (Pt), in Basilicata, con il progetto Funky Tomato: dall’incontro tra Paolo Russo, agricoltore e critico acceso dell’attuale sistema di produzione agricola, Domenico Perrotta, ricercatore in sociologia a Bologna, e Giordano Acquaviva, scenografo, si è costituita un’associazione poi trasformatasi in “società benefit”, srl finalizzata a riorganizzare eticamente la filiera dall’interno.

Un percorso di tre anni durante il quale – spiega Guido De Togni, tra gli amministratori – «…Banca Etica è stata ovviamente la nostra banca di riferimento, per obiettivi comuni. Spesso siamo stati coinvolti nelle sue iniziative, in un rapporto stretto, e presto ne diventeremo soci. Su Banca Etica transita già il nostro flusso di cassa, e stiamo valutando l’opportunità di aprire una linea di finanziamento».

L’idea di Funky Tomato è forte. La società assume direttamente i braccianti agricoli – migranti da Ghana, Gambia, Burkina Faso, ecc. – con un contratto regolare, li forma e li alloca sui terreni di agricoltori che – insieme all’azienda campana di Sarno che riceve e trasforma il pomodoro raccolto – aderiscono a un contratto di rete in cui si prevede la sottoscrizione di un disciplinare etico. Così viene attuato un controllo sul processo e sulla manodopera, tagliando fuori i caporali. Anche perché al contratto di rete partecipano produttori dediti alla tutela e coltivazione di ecotipi di pomodoro locali (il San Marzano, il siccagno siciliano, oppure quelli gialli dell’area vesuviana…), distanti dal modello di agricoltura di stampo industriale, fondata su grandi estensioni, serialità, e impiego di operai di cui conta poco la competenza sul prodotto.

In attesa della possibile evoluzione di Funky Tomato verso una sorta di ente di certificazione etica della filiera, che svolga anche attività di formazione per le persone svantaggiate, italiane o straniere, che vogliano riprendere in mano i mestieri dell’agricoltura, quella in corso si mostra già come una piccola rivoluzione delle buone prassi.

Una rivoluzione che non delega il cambiamento alla sola repressione normativa (dal 2016 è in vigore la legge 199 contro il caporalato) e di polizia, e la cui sostenibilità economica conta sull’appoggio della cittadinanza.

Ogni anno per il successivo la produzione di salsa e pomodori trasformati è stabilita anche a partire da una campagna di preacquisto aperta ai consumatori: un vantaggio per chi prenota i vasetti (circa 100mila nel 2017, per un giro d’affari intorno ai 200mila euro) a prezzo inferiore rispetto alla vendita al dettaglio; per Funky Tomato, che non ha capitali iniziali su cui contare; per le comunità locali, se di diffonde un modello economico etico e legale; e per i migranti, che ci lavorano in condizioni dignitose e potrebbero seguire un giorno le orme di George Akrugu, arrivato dal Ghana 13 anni fa e oggi coltivatore a Poggioreale di pomodori – per Funky Tomato – e peperoncini.